LE INDUSTRIE NEL REGNO BORBONICO. “di Giuseppe D’Angelo”
Sempre, a proposito di unità, le falangi “revisioniste” narrano dell’esistenza nel Regno delle Due Sicilie di possenti realtà industriali.
Anzitutto, queste realtà industriali non sono state un motore di sviluppo della società. Erano oasi tutto sommato isolate, all’interno di un contesto economico arretrato e semi-feudale e rette unicamente sulle commesse statali.
Per la cronaca le più note erano il Cantiere navale di Castellammare di Stabia, il Polo siderurgico e la fabbrica d’armi di Mongiana in Calabria, l’industria tessile di San Leucio presso Caserta, la Reale Fabbrica d’armi di Torre Annunziata, le Ferriere Fieramosca e la Fonderia Ferdinandea in Calabria, la fabbrica metalmeccanica e le Officine ferroviarie di Pietrarsa a Napoli, il Cantiere navale di Castellammare di Stabia, le Fonderie Pisano a Salerno, la Fonderia Oretea e le Flotte Riunite Florio a Palermo.
Al di là di tutto, gli addetti dell’industria metalmeccanica nell’Italia del 1861 erano 11.177, concentrati per il 38% nel Regno di Sardegna, per il 24% nel Lombardo-Veneto e solo per il 21% nel Regno delle Due Sicilie. La produzione di cotone si concentrava per il 43% nel Regno di Sardegna, per il 34% nel Lombardo-Veneto e solo per il 15% nel Regno delle Due Sicilie. La lavorazione della seta si concentrava per l’88% nell’Italia settentrionale e solo per il 3,3% nel Regno delle Due Sicilie.
In altri termini, come dimostrato dagli autorevoli studi di Angelo Massafra e Domenico Demarco, non si trattava di colossi industriali, ma di piccole fabbriche statali, che non alternavano la realtà di fondo: il Mezzogiorno era meno sviluppato rispetto al resto d’Italia.
La colpa dell’unità è, semmai, non esser riuscita a colmare le differenze. Differenze che, tuttora, esistono e che noi meridionali siamo chiamati a colmare con le nostre capacità e non bistrattando, con idiozia, la nostra terra.
Immagine: Il cantiere di Castellammare di Stabia con le sue galeotte, Hackert Philipp.